Prossimi appuntamenti

Dal'27 maggio 2023 al 7 gennaio 2024

La passeggiata della linea
100 protagonisti del disegno contemporaneo.
Installazioni di Roberto Ciroli in dialogo con le opere esposte.

MuSa - Museo di Salò

Inaugurazione: sabato 27 maggio 2023 alle ore 17:00

“Una “traversata” nel cuore delle arti”
Bresciaoggi del 22 novembre 2018 a firma Gi. Gui.

All’interno della mostra installativa dello scultore bresciano Roberto Ciroli “Traversata sul minio filantropo” […] è prevista la performance dei musicisti internazionali Amie Weiss e Nicola Barbieri,che chiederanno a l pubblico di essere accompagnati per 30 minuti lungo il percorso espositivo. Un incontro tra le arti scultoree e musicali, curato da Monica Porta, che si tramuta in invito a esperire un viaggio emozionale, osservando dal basso le figure le figure grottesche in scala umana appese da Ciroli ad un lungo filo rosso, per abbandonarsi all’ascolto delle diverse interpretazioni di 9 brani musicali […]

Nove le stazioni, o tappe, confluite nella “Rapsodia in traversata sul minio filantropo”, che, nel riprendere il titolo della mostra accompagna il fruitore lungo quel viaggio che Ciroli ha previsto per comprendere la natura umana, sospeso sull’alto filo rosso appeso alle pareti su cui camminano cento personaggi deformati e demoniaci, tutti provati dalla precarietà del vivere. L’installazione nell’invadere totalmente la parte alta dello spazio espositivo, potrebbe alludere ad una zona sovrannaturale, ma il colore rosso allarmante, che segna il tragitto e l’anatomia grottesca e mostruosa di tutte le figure, induce al simbolismo del viaggio, qui percepito non come ricerca della verità o scoperta di un centro spirituale, bensì come “Odissea”, traversata di antieroi che non conoscono la meta. Anonimi non conoscono il mondo e non si conoscono. Costretti a salire e scendere, appesantiti da un corpo rigonfio, con un solo dito ai piedi e tre alle mani, incapaci di afferrare cose.

Si tratta, dunque, di un percorso che converge attorno al tema della conoscenza, e forse della non conoscenza, con tante prove che non si superano. Un pellegrinaggio solitario senza meta verso l’ignoto, accompagnato […] dalle suggestioni della buona musica.

Renzo Margonari
Gazzetta di Mantova aprile 2017

Nella torre antica di Castellaro Lagusello presso Monzambano,le esili sculture di Roberto Ciroli si collocano come succinte installazioni. L’ambientazione è ideale. […] Queste opere potrebbero intendersi anche nell’ambito di un certo poverismo, sia per dimensioni sia per i materiali utilizzati,filo di ferro, tacche di legno, cavi metallici sottili, piccoli modellati. Sono, invece, lavori dall’architettura complessa, mobili, in equilibrio instabile, appesi, quasi fluttuanti, con personaggi dal fisico sgraziato ed espressioni preoccupate, che si esercitano in un’eterna lotta di sopravvivenza per l’altalenante fortuna esistenziale. Stanno in bilico, in balia degli elementi naturali che pure sfidano, sostenendosi e aggrappandosi a marchingegni approssimativi somiglianti a quei giocattoli che i ragazzini prebellici si costruivano col filo di ferro ricotto modellando automobili, gabbiette, carrettini, aeroplani terrestri e altri giochi […]

Una visita da guadagnare, poiché si devono scalare i ripidi gradini, rustici e stretti, della torre, restaurata intelligentemente con rispetto. Ai vari piani alloggiano le installazioni, quasi mimetiche, emergendo da qualche asperità muraria degli antichi mattoni, o appese librate nello spazio angusto. Il visitatore è coinvolto anche fisicamente, dovendo aggrapparsi alla ringhiera, badando attentamente agli appoggi, come fosse un figurante delle opere esposte. Le strutture cui si affidano i diafani personaggi quasi caricaturali, descritti con pietosa ironia, antieroi sommessi, sono strutture complesse e al tempo stesso apparentemente ingenue. Sembrano eliche, bilancieri oppure le strane attrezzature circensi utilizzate dagli acrobati e dai funamboli, volanti improbabili. Questi elementi, ondeggianti e instabili, sopportano appena il peso delle piccole figure che sembrano lì per soccombere e precipitare.

La poetica di Ciroli è evidente: si tratta della precarietà della condizione umana affidata al caso, agli eventi, alle difficoltà. E’ un’umanità sempre in bilico tra il poco e il niente, che vorrebbe contrastare il destino spingendosi al limite delle proprie debolezze.[…]

Già dagli inizi del Novecento si registrano tentativi di liberare la scultura dal limite del peso fisico introducendo nuovi materiali plastici estranei alla tradizionale lavorazione delle forme cercando addirittura la trasparenza, come fecero, con altri, Naum Gabo e Anton Pesvner. Le opere di Roberto Ciroli però sembrano più vicine ai “Mobiles” 1959 di Alexander Calder, elementi flutuanti appesi con soluzioni formali in bilico, soprattutto alle figurine di latta cartone e ferro del suo “Circo” 1929.

Lo scultore bresciano ha certamente considerato le esili filiformi e mobili strutture astratte di Fausto Melotti, esempi antiplastici e antivolumetrici.

Molto preoccupati i tuffatori si buttano con repulsione; l’omino che pedale all’esterno del dirigibile è forse un passeggero clandestino, ma è lui che muove l’elica dell’enorme aerostato; l’equilibrista sulle pale di ingranaggio, da un momento all’altro potrebbe essere lanciato nel vuoto; il funambolo incapace di valutare il proprio peso si sbilancia pericolosamente, forse cadrà dal filo. Hanno un’espressione perplessa, riottosa, costretti a mantenersi in equilibrio, deperiti e sfiniti, ad affrontare esercizi involontari. Ogni opera è un raccontino di cui si ignora l’esito che sta per compiersi. I lavori di Roberto si collocano nello spazio che li include, anelano al movimento, sembra che da un momento all’altro possano agire. Ci sono, dunque, varie possibilità di lettura. Le installazioni si possono leggere anche come metafore, paradossi, aneddoti grotteschi.

Colpisce, innanzitutto, la costruzione dei bilanciati elementi che compongono l’immagine. Senza le figure che le vitalizzano, queste forme sarebbero già interessanti strutture astratte di “design del popolo” e si possono interpretare con un esame formale a sé. Le piccole figure, anche piccolissime, pertengono alla figurazione neoespressionista e confliggono con gli elementi precari con cui si sostengono. Sotto il profilo della purezza del linguaggio, le due parti si contraddicono anche stilisticamente e non solo per i valori avolumetrici, ingegneristici, della fisica e dell’ergonometria ma anche per i piccoli volumi delle figure modellate. Ognuna delle parti potrebbe essere valutata separatamente, ma senza l’integrazione dei rispettivi elementi cui si aggiunge un terzo invisibile dato, quello dell’atmosfera ambientale che le rende mobili e determina la percezione dello spettatore, si perderebbe la definizione poetica. […]

La torre così arredata s’integra al suo contenuto come un’unica installazione della quale viene a far parte anche il visitatore mentre percorre l’ardua scalinata interna.

“Quegli omini beffardi in bilico nel vuoto”
Corriere della sera - 2013 (A. Tr.)

Il vuoto è la sua ossessione. E la solitudine. Le geografie della follia e della disperazione. Gli uomini di Roberto Ciroli li scrutano da trampoli barcollanti, da altalene che volteggiano nell’aria o dalle gracili sbarre di una gabbia. Sono fantasmi di cartapesta e poco più. Materia grezza. Nylon, spago, metallo arrugginito. Fanfaluche. Con un ghigno sardonico, però, che s’insinua nelle lande inospitali del contingente. Lo scultore bresciano plasma saltimbanchi che sembrano usciti dal segno tagliente di Jacques Callot, creature limbiche che fissano l’abisso con i loro occhi abulici. Miti infranti. Dell’Uomo vitruviano, perfetto, invincibile, resta un’ombra sbiadita. Un ammasso di corpi scarni, increspati, partoriti da una fantasia scatenata, disperata eppure ironica. Ciroli ammicca al Rinascimento, alle avanguardie del Novecento, ai quadri di Schiele. Nei suoi omini beffardi traspone pulsioni e turbamenti reconditi, un’idea di arte bassa e totemica, mai conciliata, spiritosa e spiritica. Le sue sculture hanno nulla di naïf. Anzi: sono maledettamente serie. E scure, dolenti, pugnalate dalla vita, da tormenti che hanno lasciato sul loro volto un sorriso arcigno.

“Santi e saltimbanchi, vita per caso di omini al forno”
Corriere della Sera - 14 aprile 2013

In fondo, il destino arriva comunque. Tanto vale aspettarlo. Non può fare così male. Sembrano lì per caso, impegnate nell'attesa, le sculture di Roberto Ciroli, sospese senza preoccupazione in un limbo in cui tutto può succedere... chissà mai, magari stavolta il destino sbaglia mira e le manca. Un po' come Wile Coyote che guarda incredulo e speranzoso la montagna che Beep Beep gli sta facendo piombare addosso. «Di gabbie, santi e saltimbanchi» è la personale dell'artista bresciano ospitata fino al 4 maggio alla Galleria Incorniciarte di Verona (via B. Regina 27/a; da martedì a sabato dalle 16 alle 19.30; ingresso libero). Di ruvida polpa di cellulosa cotta al forno sono fatti questi omini che popolano un universo parallelo. Figure che fanno il verso al mondo reale svelandone con immediatezza scandalosa tormenti e profonde verità. Le gabbie, per esempio, isolano naturalmente, ma proteggono anche dall'esterno. Altre costringono i nostri omini in posizioni impossibili da sostenere a lungo. Eppure loro non possono fare altro che insistere nel loro incastro. Come una vita che gli sta stretta. Veri saltimbanchi dell'esistenza. Anche i santi sono pur sempre uomini, intenti a subire martiri a tratti grotteschi, comparse svogliate in progetti divini. (g.v.)

Daniela Marani
“Ciroli alla Galleria Incorniciarte”
Periodico culturale “Traiettorie”- Aprile 2013

Ha qualcosa di singolare la mostra inaugurata sabato 13 aprile 2013 alla Galleria Incorniciarte di San Massimo a Verona. Già il titolo dell'evento " Di gabbie, santi e saltimbanchi" ci introduce nel mondo particolare di Roberto Ciroli che, pur avendo dedicato parte dei suoi studi alla scenografia, è da sempre affascinato dalla scultura alla quale però ha voluto dare un volto completamente diverso.

Alla statica linearità delle forme e alla presenza massiccia dell'opera accolta dall'ambiente circostante, l'artista bresciano sostituisce movimenti ondeggianti, equilibri instabili e basculanti. Lo spazio diventa il vuoto, l'elemento scenico all'interno del quale fluttuano i suoi personaggi, simili ad ominidi primordiali, caratterizzati da ventre rigonfio e sorretti da esili arti a bastoncino.

Sono corpi creati con ruvida cartapesta, talvolta cotta, altre volte lasciata seccare, per permettere ai fili di nylon di regolare il loro andamento incerto, che li sottrae alla rigida fermezza tipica dell'arte scultorea.

Una parte dell'esposizione è dedicata alla reinterpretazione di scene bibliche, che rivivono sotto nuova luce, trasfigurate dalla chiave di lettura ironica di Ciroli. Altre si ispirano a momenti storici ben definiti come il '400, incarnato da un Uomo Vitruviano del tutto insolito e l' '800, dagli enormi dirigibili alle mongolfiere che diventano qui singole, biposto, triposto, a seconda delle esigenze e del divertimento.

Una sezione è dedicata alla gabbia intesa come prigione, imposizione o protezione dall'esterno, a seconda della situazione raffigurata. Accanto a queste prendono vita alcuni interpreti del mondo dell'esibizione: funamboli su monocicli, trampolieri traballanti alla ricerca di un'impossibile stabilità, anche aiutandosi appoggiati al muro della galleria.

All'allestimento d'insieme, di grande effetto, vanno aggiunte le didascalie associate a ciascuna opera. Sembrano frasi uscite dalla bocca dei diversi omini affaticati nel tentativo vano di trovare l'equilibrio perduto, pensieri ironici che contribuiscono a sdrammatizzare le scene più tragiche dando ai protagonisti un filo di speranza: quello di nylon dal quale sono sorretti.

Piera Cristiani
“Imparare a volare da Roberto Ciroli”
dal blog Campiture - 11maggio 2012

Quando ho conosciuto Roberto Ciroli qualche anno fa la cosa che mi ha colpito maggiormente di lui è che nel parlargli non usa perifrasi o frasi da inaugurazione: Ciroli è un artista che parla dell’arte in modo semplice e diretto, con umiltà e passione, senza infervorarsi, ma trasmettendo una calma consapevole e rara.Le sue opere presuppongono dei materiali semplici, assemblati in modo originale ed elaborato e volti a creare un effetto sorpresa davvero particolare. Non è un’arte comune, la sua, fatta di istallazioni che coinvolgono la cartapesta, il ferro, a volte il nylon, altre volte materiale di recupero.Con una grande capacità tecnica, Ciroli mette insieme questi elementi e crea dei piccoli teatrini che fanno sorridere, riflettere, catturano l’attenzione, creano discussioni interiori.Non molto tempo fa, Ciroli mi parlava di un suo progetto di riuscire a far volare le sue opere. Non so esattamente se ne posso parlare pubblicamente oppure no ma è una scelta curiosa.Questa sua ricerca della sospensione delle opere ha insinuato una curiosità estrema che lo fa scavare in continuazione: artista duro e puro, Roberto Ciroli non si ferma, prosegue il suo percorso senza compromessi, pieno di ostacoli dettati dal tempo, dagli spazi, da un valore dal gusto estremamente raffinato e poco commerciale che gli comporta dei rallentamenti per la mancanza di fondi da destinare la sua ricerca che sfiora anche le leggi della fisica.Nel mentre è riuscito a indagare, a suo modo, il rapporto dell’uomo col volo, dalle altalene, a surreali dirigibili, biplani, rapporti di pesi ed equilibri in cui la fragilità dell’essere umano viene messa a nudo con ironia e un profondo senso di bellezza, sottile, delicata, profondamente umana.L’esito è piuttosto interessante perché le opere di Roberto Ciroli sono estremamente ariose, piene di piccoli giochi con cui il visitatore può interagire, sempre con un tocco leggero, sempre con un occhio curioso, sempre di grande respiro e di forte impatto visivo.Le istallazioni di Ciroli sono come lui, uomo discreto, sensibile, puro, che fatica a rapportarsi con un sistema a uno stadio avanzato di decomposizione a causa dell’ossessione per il business, un artista che non smette di interrogarsi sulle regole del fare arte e del parteciparvi, che non sente la necessità di andare a imbarazzanti e sovraffollate vernici, che non vuole fare apprezzamenti che non gli appartengono. Un uomo di altri tempi e di grandi ideali, disposto a riversarli nella sua arte grazie alla sua privilegiata capacità espressiva.[..]

“L'uomo prende il volo verso il sogno”
La Cronaca di Mantova - 16 dicembre 2011

[…] La mostra “Aeronautico Pericolantibus” è curata da Giovanni Magnani e da Fabrizio Migliorati, direttore della “Civica Raccolta d'arte”che dà il nome al museo. […]

Nel catalogo curato da Fabrizio Migliorati , con le fotografie di Gabriele Zabelli, si legge a proposito dell'opera di Ciroli: “Qualcosa di arcaico abita questi piccoli mondi. Qualcosa che ha sempre vissuto nell'uomo come forza accelerativa, naturale. Volare. Un sogno, da sempre insito in quel primo uomo forse invidioso, ma meravigliosamente affascinato al gesto degli uccelli solcanti il suo cielo, il suo mondo.

“Perché possono volare?” o, più filosoficamente, “che cos'è il volo?”. Nasce così lo sforzo umano di assomigliare agli uccelli,non tanto per staccarsi da terra, ma per vedere diversamente, per dominare la visione. Volontà radicata fin dalla notte dei tempi, essa prende veramente forma solo nel periodo epico degli esperimenti, tra tragedie e successi, tra mitologia e anonimato. Ma l'arcaico che colora queste figurine indugia costantemente in una riproposizione atemporale, che sfugge ad un'individuazione precisa. Il sogno di Icaro riprende ogni volta daccapo, senza alcun tipo di acquisizione, ma sempre come tentativo e salto nel vuoto.

“Se l'uomo ha appreso a volare, aiutato da tutta una serie di conquiste che ne rappresentano le fondamenta e la “sicurezza”, lungi dall'esaurirsi, questi uomini si lanciano ogni volta come se fosse la prima (e l'ultima), assaporando ogni istante di pericolo, di leggerezza. I volti e i corpi sono colti in un momento assai preciso della parabola: quando, giunti a una certa evasione della preoccupazione, si sentono padroni della situazione, questi uomini volanti diventano letteralmente dimentichi di se stessi, si obliano. La tensione psichica e meccanica, si scioglie per un brevissimo istante. Cosa avverrà in seguito non è dato saperlo. Siamo edotti solamente su quella minima particella di vuoto umorale che traspare e che sortisce, in loro ed in noi, un sorriso che sembra porsi in linea diretta con quello tipico dell'arte fittile della Boezia del periodo arcaico: un sorriso beota”.

“Le sculture di Ciroli fanno volare i pensieri”
Bresciaoggi - 18 dicembre 2011

“Aeronautico pericolantibus”: è racchiuso nel titolo l'innovativo spirito creativo delle opere dello scultore bresciano Roberto Ciroli in rassegna oggi nella Torre civica di Medole […]

Curata da Fabrizio Migliorati,Giovanni Magnani e Luca Cremonesi, l'esposizione mette in risalto una quarantina tra le opere più recenti dell'artista. “La scultura di Ciroli -si legge nella presentazione della mostra- muove dall'impossibilità di stare immobile. La stasi è il rifiuto di queste opere, i corpi che stanno in bilico sulle macchine volanti non sanno fare altro che muoversi, leggeri,gravi”.

Le opere di Roberto Ciroli del resto parlano di loro proprio perché sono silenziose, vivono in quel silenzio, tessuto attraverso il tempo che esprimono:un tempo antico che si ripresenta continuamente, più potente che mai, ma privo di ogni nostalgia grondante attualità demodé. “Bolle silenziose -per usare le parole dei critici- ,che comprimono i personaggi e che li lasciano vivere, rappresentando l'habitat ed il territorio di azione”. [...]

Fabrizio Migliorati e Luca Cremonesi
“Aeronautico pericolantibus. Gli epici tentativi di Roberto Ciroli”
Introduzione al catalogo dell'esposizione “Aeronautico pericolantibus”- dicembre 2011

Né dèi né animali. Gli abitanti del mondo di Roberto Ciroli sono piuttosto delle forme limbiche condannate all’incertezza dell’individuazione, assimilabili talvolta agli angeli, talaltra a ninfe. Il loro rapporto con l’umanità è di pura accidentalità casuale e laterale: un tocco fugace, ruvido, immantinente dimenticato. È un attimo. Poi, queste figure si volgono altrove, interessandosi solamente a quello che di più profondo, e di conseguenza, di più lontano e irraggiungibile, li interessa e li agita. Ecco che la loro volontà si dimostra subito ricerca, quête, e più tardi, compito da perseguire, con ogni mezzo, sondando ogni possibilità. Bisogna staccarsi da terra. La necessità di una distanza con quella terra che li ha generati, fa di questi uomini, uomini lievi, che non gravano sul suolo che li sostiene come, d’altro canto, neppure su loro stessi. La distanza dice del distacco e dell’isolamento; essa parla di tutto un mondo che sta addosso a quella pasta di cellulosa, ne scava i lineamenti per deporsi, incrostandosi. C’è un atteggiamento di sfiducia nell’altro, nel vicino, e questo porta ad una condizione di solitudine produttiva. Melanconia rinascimentale. Ma proprio perché è tale, non ci è alcun senso di superiorità, ma suicida inquietudine esistenziale che espelle l’altro, trattenendolo nei pressi.

Ogni elemento è solo, vive in una sorta di compartimento stagno e non si relaziona che a se stesso. Solo incidentalmente “vive” con gli altri: questa “vita” è pura casualità, sfortuna, incidente. I personaggi creati da Ciroli posseggono una relazionalità accidentale che agisce malgrado e al di là di se stessa. Per questo esatto motivo, queste entità, monadi incomunicanti, crollano le une sulle altre, rotolando e passando oltre. Si tratta qui di assistere ad un mondo che si incide nella carne di ogni personaggio, nonostante quest’ultimo sia dimentico della situazione che si va creando. Ben conscio della propria situazione, del proprio peso, greve oltre ogni lievità, l’uomo si misura con la natura essendo completamente se stesso, non tradendosi mai. Insiste come essere proprio, con un corpo che lo dichiara e che gli rimane saldato, come se non ci fosse altra possibilità, altra occasione per cambiare. Questi corpi rimangono sospesi, abbarbicati nello spazio vuoto e colmo di aria, ma fortemente fissati poiché non potrebbero fare altrimenti. Se l’epica del volo rimane il fondo mistico dell’operare artistico di Ciroli, ciò si deve alla dichiarazione che “un’altra strada non è perseguibile” e, necessariamente, deve essere percorsa. Figurine che mantengono il volo come loro unico modo d’espressione perché è questa la loro necessità interiore ed esteriore. Le opere di Ciroli parlano di loro proprio perché sono silenziose, vivono in quel silenzio… tessuto attraverso il tempo che esprimono: un tempo antico che si ripresenta continuamente, più potente che mai, ma privo d’ogni nostalgia e grondante attualità demodé. Bolle silenziose che comprimono i personaggi e che li lasciano vivere, rappresentando l’habitat ed il territorio di azione.

Qualcosa di arcaico abita questi piccoli mondi. Qualcosa che ha sempre vissuto nell’uomo come forza accelerativa, naturale. Volare. Un sogno, da sempre insito in quel primo uomo forse invidioso, ma meravigliosamente affascinato al gesto degli uccelli solcanti il suo cielo, il suo mondo. “Perché possono volare?” o, più filosoficamente, “che cos’è il volo?”. Nasce così lo sforzo umano di assomigliare agli uccelli, non tanto per staccarsi da terra, ma per vedere diversamente, per dominare la visione. Volontà radicata fin dalla notte dei tempi, essa prende veramente forma solo nel periodo epico degli esperimenti, tra tragedie e successi, tra mitologia e anonimato. Ma l’arcaico che colora queste figurine indugia costantemente in una riproposizione atemporale, che sfugge ad un’individuazione precisa. Il sogno di Icaro riprende ogni volta daccapo, senza alcun tipo di acquisizione, ma sempre come tentativo e salto nel vuoto. Se l’uomo ha appreso a volare, aiutato da tutta una serie di conquiste che ne rappresentano le fondamenta e la “sicurezza”, lungi dall’esaurirsi, questi uomini si lanciano ogni volta come fosse la prima (e l’ultima), assaporando ogni istante di pericolo, di leggerezza. I volti e i corpi sono colti in un momento assai preciso della parabola: quando, giunti ad una certa evasione dalle preoccupazioni, si sentono padroni della situazione, questi uomini volanti diventano letteralmente dimentichi di se stessi, si obliano. La tensione, psichica e meccanica, si scioglie per un brevissimo istante. Cosa avverrà in seguito non è dato saperlo. Siamo edotti solamente su quella minima particella di vuoto umorale che traspare e che sortisce, in loro ed in noi, un sorriso che sembra porsi in linea diretta con quello tipico dell’arte fittile della Beozia del periodo arcaico: un sorriso beota.

Tuttavia, il volo è limite invalicabile. Limite, dunque, non confine: trattasi di linea che non si può superare. Ecco perché, dunque, l’uomo (che sia di Ciroli o no, poco importa a questo punto) diventa personaggio a-sessuato o, meglio ancora, neutro che contiene entrambi i generi – non è il sesso ciò che interessa al Nostro autore, ma la funzione “essere umano”, goffo e maldestro all’apparenza, proprio come nelle dinamiche di Bacon. Questo personaggio/uomo (inteso in tal senso) è limitato goffamente dal peso della tecnologia che, in estrema sintesi, gli consente di volare, ma sempre e solo nei limiti a lui concessi: quelli temporali. Ecco che l’idea di palloni ad elio, che richiamano i primi esperimenti che davano vita al sogno (i fratelli Montgolfier), funziona su piani diversi: ricorda le origini, ma anche i limiti, perché l’elio se ne va e con esso il sogno (di questi personaggi… NOI in piccolo) di volare… se, per loro natura, l’ideale e i sogni portano in alto, i limiti della realtà riconducono, simbolicamente, in basso, e cioè… alla realtà, sulla terra. Sarebbe il caso di restare a guardare la discesa, lenta, dei personaggi e così riflettere, davvero, sui limiti dell’uomo, ma anche della tecnologia: apparato che ci rende potenti in un attimo, all’improvviso, ma che, allo stesso tempo, ci rende vulnerabili e piccoli, quasi insignificanti (non certo per destino…). Emblema di tutto questo, da sempre, lo Zeppelin: dalla sua nascita alla tragedia, storica, dell’Hindenburg, il grande dirigibile orgoglio e fiore all’occhiello dell’industria tedesca, miracolo della tecnica e della tecnologia, che avrebbe dovuto celebrare la gloria e la potenza della tecnica teutonica. In 34 secondi, durante l’atterraggio del volo inaugurale, il gigante svanì, come un soffio, e con esso tutto il mondo che avrebbe creato, prodotto, espresso. Svanì e si affermò, di nuovo, un limite. Lo Zeppelin, scarno, di Ciroli condensa tutto questo, e l’uomo, piccolo, precario, che pedala, è l’immagine simbolica (ma neppure troppo) del limite; un personaggio/protagonista messo lì, quasi a monito, di certo a perenne memoria, di questo limite invalicabile, per definizione appunto. L’uomo, insomma, è sempre personaggio precario, di sicuro, davanti al limite.

E se il volo, con il mondo simbolico che porta con sé, è una delle trame dell’arte di Ciroli, non sono da meno il movimento e lo spazio vuoto. È noto come molta arte del Novecento abbia cercato di amplificare un gesto, portandolo all’estremo, ma anche sotto la lente d’ingrandimento, per porlo in evidenza. Non è da meno, per certi versi, la riflessione di Ciroli. La goffa umanità messa in mostra dal Nostro appare, ad una prima visione, un grande circo prossimo alla chiusura: stancamente i personaggi si abbandonano a se stessi, dopo una vita sul palcoscenico, dopo un’esistenza passata in primo piano, dopo cioè aver calcato, senza sosta, a ritmo serrato, le tavole del grande teatro dell’esistenza. Ma lo spettacolo, ora, è finito: non solo il sogno di poter volare è limitato (e, quindi, sul procinto di fallire), ma anche la giornata lavorativa è limitante e, dunque, si è spenta. Quel lavoro che doveva rendere l’uomo migliore, cambiarne la vita e l’esistenza, fino ad emanciparlo dalla sua condizione di partenza, in realtà è solo mera routine meccanica che limita la nostra vita. Il ritorno a casa, in metropolitana, o con i mezzi pubblici in generale, è fatto di gesti anonimi che però raccontano di un nuovo limite, quello, questa volta, del lavoro e cioè di quella prassi tutta umana che non è mai stata opera (e cioè attività che produce e crea il mondo), ma mero lavoro salariare che non libera, ma opprime, schiaccia e affatica sogni, speranze, illusioni, passioni; macchina che spazza via la voglia e la potenza di creare un mondo. Si tratta, cioè, del lavoro che non affranca dalla schiavitù, che non libera l’uomo dallo “spazzare le foglie morte per Londra” (Wilde), ma lo condanna a una ripetitività senza senso alcuno che spolpa l’uomo, lo piega, lo consuma, lo rende goffo, affaticato, stanco e neutro: uomo e donna, infatti, condividono questo triste destino contemporaneo: la schiavitù del lavoro. Se tutto questo è in mostra nella metropolitana dove tutto scompare, tranne la traccia di chi, anonimamente, vi si siede per far ritorno, o per arrivare, poco importa, allo stesso tempo il comico di altri personaggi è segno di un’umanità che cerca, goffamente, di uscire da questo circolo vizioso che caratterizza la nostra esistenza contemporanea, di questi anni, di questi mesi, di queste settimane, di questi giorni, di queste ore… questa… ora…

Speranza di superare il limite? Sì. L’umanità di Ciroli ce lo mostra. A Tavola. E non solo perché è “magnando e bevendo che tutto se risolve”, alla romana, ma perché lo stare a tavola, nella nostra tradizione, è gesto del popolo, dell’uomo che recupera la sua umanità. Per noi italiani il rito del mangiare non è mai semplice pratica per “avvicinarci alla morte” (Ferreri) o soddisfazione di un bisogno primario (come accade in molte altre culture, inglese in primis…). La tavola, da sempre, è il luogo dove tutto finisce (la giornata lavorativa, la fatica dei campi, le corse metropolitane…) e tutto ricomincia: si ritrovano gli affetti e si riacquista l’umanità che si è perduta nei ritmi serrati della giornata (purché la tavola sia slow, e non fast). A tavola, insomma, il sogno riparte, anche se fatto di parole, di un brindisi, di un canto, di una pacca sulla spalla, di un viso stanco ma rilassato. I gesti si ammorbidiscono, si rilassano, e se anche tutto scompare, come nella tavola di Ciroli, quell’umanità che si ritrova a tavola, danza e sorride. Lì, dunque, a tavola, il limite diventa finalmente confine, e tutto può essere oltrepassato, di nuovo, per sempre…

“Roberto Ciroli alla Mimesis Gallery”
superEva – 28 marzo 2010

Mimesis Gallery presenta la personale dell’artista bresciano Roberto Ciroli. La ricerca di Roberto Ciroli e’ orientata verso una rilettura ironica dei temi classici del Rinascimento italiano. Continua cosi’ il percorso iniziato nella precedente esposizione -Il dubbio della creazione- inaugurata nel mese di febbraio. I suoi personaggi si librano nello spazio bilanciati da fili di nylon collegati a chiavi per ukulele. Le sculture vengono proposte come fossero strumenti musicali da accordare sino a trovare l’armonia tra spazio e figura.

Solo questi ultimi sono gli elementi che compongono l’installazione: qualsiasi oggetto viene eliminato; tavolo, sedie, calici, persino il terreno stesso sono suggeriti dalla posizione che i personaggi assumono nello spazio, percepito occupato pur essendo vuoto. Quattordici soggetti di cartapesta mimano liberi l’Ultima Cena, irriverenti e scomposti trasformano questo evento da preludio della Passione a convivio smodato. La drammaticità viene completamente stravolta dall’aspetto grottesco delle figure, accentuato dalla superficie ruvida della cartapesta. Il materiale grezzo pero’ non inibisce l’artista nel modellare, infatti avvicinandosi e’ possibile cogliere le espressioni e scoprire i particolari per sorridere, immaginare e vivere l’opera.

Fausto Lorenzi
“Roberto Ciroli dirige il circo della creazione”
Giornale di Brescia- 3 Marzo 2010

[…] Sono “teatrini” o “cornici” di sculture in materiali poverissimi,cioè essenziali, a inscenare racconti fantastici. Storielle di filo e carta o poco più, cariche d'ammicco e ironia, che non invadono lo spazio, ma lo modulano, attraverso una sorta di “disegno incarnato” nella materia sottile di spago, ferro ,legno, cartapesta,cellulosa, nylon.

L'autore riprende l'equilibrio precario e periclitante di sue precedenti giostre e altalene di figure chiamate a reggersi acrobaticamente sul grottesco e sul nonsense, o anche chiuse in gabbie da circo o girelli da fanciulli, per evocare qui temi e opere “canoniche” della storia dell'arte fatte scivolare in una regione ambigua e demistificante, soggetta a leggi fragili, in bilico.

Certo questi teatrini evocano ancora la lontana lezione di quelli di Melotti, abitati da messaggeri celesti e demonietti impazziti che si prendono gioco del mondo.

Sponde mobili e irrequiete tra pesantezza terrestre e leggerezza aerea, perché “il dubbio della creazione” sottrae la concezione dell'opera d'arte a ogni aura sacrale, ad ogni “monumentalità”, per restituirla a manualità e giocosità primarie, in cui i personaggi si agitano appesi a fili di nylon come marionette, accordati tramite chiavi per ukulele,a dire che ciascuno deve darsi il giusto “temperamento” al suo approccio all'arte.

“Il dubbio della creazione”
Bresciaoggi- 19 Febbraio 2010

Nel “dubbio della creazione”,[...] Roberto Ciroli, […] riflette sul fare artistico e sull'opera, che recupera con ironia, come per renderla più vicina attraverso il colloquio diretto.

Le figure desunte dalla storia dell'arte, vengono inserite in un “vuoto apparente” in una scatola in cui sono appese, sorrette da quasi invisibili fili di nylon; sospese nel vuoto nero, animate dalle chiavi dell'ukulele, per azionarle leggermente nello spazio, si mostrano per quello che sono, oggetti elaborati per aiutarci a comprendere il mondo, forse oggetti troppo mitizzati.

La riflessione sull'opera d'arte viene tradotta da Ciroli attraverso il dubbio non tanto per mettere in crisi la qualità, quanto piuttosto l'aura che il tempo costruisce attorno all'opera, sovente rendendola meno leggibile; ritorniamo all'opera con l'immediatezza di un segno, ma anche con il sorriso, dal momento che l'opera ci è sempre amica e ci insegna sempre qualcosa.

CIDAC arte contemporanea
Presentazione alla mostra “Cicloeliomobili a levitazione indotta”
10 Marzo – 7 Aprile 2006

Proseguendo in un discorso di epurazione della forma, la figura umana è ancora una volta la protagonista delle installazioni di Roberto Ciroli.Figure colte nella loro matericità di carta pesta colorata, creature a loro agio in un mondo bizzarro, surreale e ludico che, attraverso la parodia, allude alla nostra contemporaneità. Questi uomini sospesi che fluttuano in insoliti atteggiamenti dinamici nelle loro “cicloeliomobili a levitazione indotta”, strutture leggere e fatue, sono un’ode alla meccanica fantastica creata dall’artista.Opere che cercano un contatto con il visitatore che può toccarle, muoverle, spostarle, smitizzando, con questo suo agire, il concetto dell’inaccessibilità dell’opera d’arte che pertanto diventa fruibile come un divertente gioco, fonte di riflessione sulla realtà di noi uomini e donne contemporanei.L’installazione è composta da ventiquattro personaggi, per un peso complessivo inferiore ai tre chilogrammi, sostenuti da quaranta litri di elio.

Vanda Sabatino
Introduzione al catalogo "Ma dove vanno tutti?"
Il box - motore per l'arte, 2004

La scultura oggi non può essere monumentale o celebrativa: mancano i committenti e al pubblico risulterebbe noiosa. Non può avere valore solo in funzione dell’architettura: non è più tempo di cattedrali. La scultura oggi vive per sé stessa. Afferma il puro esistere prima ancora che il significato. Si inserisce nella silenziosa atemporalità dello spazio e l’aria che la circonda è il suo unico conforto. Fra tutte le arti la scultura esprime al meglio il movimento. Crea moti sospesi, in divenire. Attimi estesi di vita. E Roberto Ciroli è Scultore. Contemporaneo. Parla dell’uomo del suo tempo. E il codice linguistico è il corpo: una superficie composta da infiniti contatti fra luce e materia.I suoi personaggi sono anime chiare di legno, ferro e carta. Nude sembianze di gesti, sguardi e torsioni. Sembrano caratterizzati da un moto a luogo. Da attività forzate. Cercano emozioni forti in Gabbie rotanti per stomaci gagliardi. Corrono in bicicletta, da soli o in tandem, per libera scelta o per necessità!In questa mostra è possibile ricostruire il percorso artistico di Ciroli in cui si nota una progressiva purificazione della materia.In LINEE ORDINARIE URBANE che poi ti svegli che sei in periferia, l’artista mostra tratti di vita sprecata in attesa di arrivare altrove. Ma nell’installazione, i vagoni della metropolitana e gli oggetti sono stati annullati a favore delle persone. In quell’aria artificiale, in cui l’esterno è rappresentato per difetto, la folla crea solitudine. La gente è, e si sente, invisibile. Noia e anonimato generano goffaggine. Fra le quarantacinque caricature ironiche riconosciamo il nonno con il nipotino spaventato; la Gigantessa cattiva; la donna che legge; il violinista per elemosina; la vecchia, curva sotto il peso di un cappello, appesa al palo, con un viso astratto da scimmia che ricorda un’alienata di Géricault. Una galleria di personaggi nati dal divertissement di un artista - uomo tra gli uomini. Emozioni raccontate per far ridere e riflettere.Il lavoro di Roberto Ciroli suggerisce abilità tecniche e qualità umane necessarie alla scultura: pazienza e predisposizione al lavoro, lento, accurato, infinito.

Alessia Muroni Per Fabio Paris Art Gallery
Artissima 2002

Le sculture di Roberto Ciroli partecipano di una qualità fantastica e nervosa, inquietante, che non sembra appartenere a questo tempo. Cattive, deformi, eppure umane e ironiche e persino tenere, le sue grottesche figure fanno pensare agli omini appuntiti che popolano le incisioni di Jacques Callot. Una sottile vena di follia percorre quest'universo arrampicato su trespoli e scale ed esili trampoli di metallo, imprigionato in gabbie grottesche e squinternate cornici, o affacciato rissoso sul mondo da finestre condominiali. Questi abitanti di cartapesta, perennemente sospesi in precario equilibrio fra cielo e terra, si trovano prigionieri in situazioni assurde, di eccessi alla Rabelais, di sconfitte che sanno d'amaro e di beffa allo stesso tempo. Sono marionette, sono scimmie, sono febbrili fantasie, sono ombre cinesi, sono fantasmi usciti come miasmi velenosi da qualche inconscio sotterraneo. L'ironia serpeggia repentina e colpisce inesorabile, questi buffi ometti siamo noi, con le nostre piccole nascoste mostruosità, i nostri ingenui travestimenti, le nostre cattiverie e le nostre fragilità: un giardino di minimi mostri deliziosi.

Elena Di Raddo
Tratto dal catalogo della mostra "Energie Naturali", 2002

[...] Roberto Ciroli inventa creature fantastiche che sembrano uscite dal teatro delle marionette che si muovono, ondeggianti, su improbabili, altissime altalene. I loro corpi, a metà strada tra l'essere umano, la scimmia e la cavia, sono plasmati nella terra contribuendo a far spaziare l'immaginario verso le profondità più nascoste del terreno, verso mondi in cui il grottesco e lo spaventoso si risolvono in una danza leggera di forme. [...]

Rocco Moliterni
"A Miart le pecore in scatola"
La Stampa - 6 Maggio 2002

[...] Un viaggio tra le gallerie di tendenza, fa ritrovare i nomi dell'arte giovane italiana degli ultimi anni da Botto&Bruno, con le loro immagini di periferie urbane, a Loris Cecchini, con i suoi oggetti che sembrano squagliarsi, da Roberto Ciroli, con le sue giostre e le sue altalene post-melottiane, all'ormai affermatissima Vanessa Beecroft, da Andrea Chiesi con le sue fabbriche più o meno dismesse a Giuseppe Perone, con le pecore grigie tra scatole nere. […]

Franco Migliaccio
1994

Le sue immagini d'origine espressionista o meglio, di tendenza neo figurativa che accentua l'espressività mediante manipolazioni deformanti, assumono valore emblematico e si proiettano nel sociale con passione civile e senso dell'ironia. Sculture polimateriche, modellate con piglio deciso e tocco sensibile e fresco; proiezioni vertiginose in senso verticale che mirano ad equilibri precari, instabili, ingenerando tensioni emotive e inquietanti disagi interiori.

Daniela Capelloni
1993

[…] dapprima sono solo segni su un foglio di carta (che rivelano una passione per H. Doumier e E. Schiele); poi questi segni si animano liberandosi in forme esili e naturali, attraverso i giochi delle linee arrugginite del metallo con il legno ed i colori terrosi, in uno spazio ambiguo dove fluttuano nella loro verticalità onirica ed enigmatica, animata da piccoli omini di cartapesta che vivono una “situazione” irreale, ironica,quasi fantastica. [...]